Discorso di Mons.Santoro all'uscita della Processione dei Sacri Misteri

Ti adoriamo Cristo e ti Benediciamo perché con la tua santa croce hai redento il mondo.
 
Cari amici,
mi accingo come ogni anno, con grande commozione, ora che la processione ha completamente preso corpo e avvio, ad offrirvi una riflessione e qualche intenzione di preghiera in questo Venerdì Santo della Passione di Nostro Signore.
Perché siamo qui? Vi dico il motivo profondo della nostra sequela in questa processione: «C’è qualcuno che camminato con maggiore libertà di Cristo? C’è qualcuno che si è lasciato ferire come Gesù Cristo fino alla morte, nel dono di se stesso? C’è qualcuno più libero di un santo autentico, che ha il coraggio di andare in croce, per i motivi per cui Cristo è andato?» (G. Moioli) per questo siamo qui perché in Gesù è apparsa la potenza misericordiosa di Dio e in Lui riceviamo la salvezza. Nessuno ci ama come ci ama Dio.
Fratelli e sorelle, mentre i confratelli nazzicano e lentamente assicurano il corteo al suo incedere, mi viene suggerita l’immagine di un Dio paziente con l’uomo che non lascia indietro nessuno. Tutti possiamo raggiungerlo, nessuno rimane indietro, questo è meraviglioso se vissuto come gesto di conversione. Ognuno può raggiungere Gesù e aggiungersi a quel drappello di gente buona, di giusti che con Maria anticipano l’ora della risurrezione lungo la Via crucis. Allungate spiritualmente la vostra mano, porgete a Cristo, come la ha fatto la Veronica con il suo velo, la tenerezza della carità verso chi soffre, verso chi ha il volto sfigurato dalla sofferenze ma che ha impresso il volto del Signore. Fatevi prossimi sotto il legno e dite: «Voglio essere un cireneo»,il contadino africano che ha aperto la schiera dei collaboratori della croce, di coloro che associano la propria opera alla grande opera di salvezza. Siate come quelle donne di Gerusalemme che assicurano al condannato un po’ di umanità e vengono dal Redentore a loro volta consolate, siate sfacciati come il buon ladrone e chiedete a Gesù il Paradiso. Siate come Giuseppe di Arimatea che va a riscattare il corpo esanime del Cristo e gli offre un regalo, il sepolcro, che diventa il luogo della ripartenza. Sì fratelli e sorelle, offrite il sepolcro del cuore peccatore a Gesù, perché riposando nella nostra morte Egli frantumi la pietra del peccato e vittorioso, Risorto, faccia di ogni luogo di morte e di peccato l’annuncio nuovo della Pasqua che non teme avversari, pungiglioni e sconfitte.
Amici, siate soprattutto come Maria, la mamma di Gesù e di ogni credente, che porta la sua fede granitica lì dove tutti fuggono, ovvero sotto al calvario. Fatevi portatori di fede, di speranza e di carità lì dove tutti finiscono di credere, di sperare e di amare. 
Attenti a non essere come i tanti personaggi della passione che pur non avendo colpe dirette sulla condanna di Gesù peccano di indifferenza, sono osservatori curiosi ed estranei, aspettano cinici colpi di scena alle sollecitazioni blasfeme dei detrattori del Re dei Giudei.
Dobbiamo lasciarci commuovere e muovere, non solo emozionare. Dobbiamo far sì che il cuore che incontra la Passione del Signore, si muova. Vedete il Cristo che soffre? Egli è in ogni uomo che soffre! Assistiamo in questi giorni ed eventi di efferata violenza che possiamo combattere non solo indignandoci (serve a ben poco in realtà), ma praticando l’accoglienza. Non possiamo fare i perbenisti versando qualche lacrima per le vittime asfissiate delle bombe chimiche, moltiplicando le condivisioni, l’orrore sul web, e poi essere razzisti e xenofobi con chi è qui perché è scappato da quella stessa guerra! Il Signore Gesù piegato sotto il peso dei peccati, caduto e sfigurato, ci renda un cuore di carne al posto di quello di pietra che scopriamo di avere proprio quando un fratello bussa alla nostra porta. Continuiamoci invece a distinguere per generosità e accoglienza e il Signore ne terrà conto!
«Se qualcuno vuol venire dietro a me - dice Gesù -prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (cfr 9,23). Nella fase matura del nostro anno pastorale, oltre alla commozione, ho proposto a tutta la comunità diocesana l’attenzione alla vita quotidiana. E’ qui che si gioca e si vede cosa amiamo di più nella nostra vita. Dice san Tommaso d’Aquino “La  vita dell’uomo consiste nellaffetto che principalmente lo sostiene e nel quale trova la sua più grande soddisfazione”. Qual è il bene più grande che ci muove e ci sostiene? Perciò chiedo al Cristo crocifisso, per questa città, una quotidianità serena e duratura. In questi mesi abbiamo sentito di tante aspettative, progetti e in questi giorni programmi che indicano il riscatto di Taranto in grandi opere. Ben vengano se ci saranno, ma io oggi chiedo al Signore e a coloro che saranno chiamati a governare nei prossimi mesi la nostra città di assicurarci dei giorni normali, non cose straordinarie, ma realistiche condizioni di vita, di vivibilità, di sostenibilità. Avverto un disincanto rassegnato che dobbiamo sgominare, non con promesse futuristiche, ma cominciando a risanare una rete sociale, avendo cura dei più deboli, dei disagiati, di coloro che vivono senza un reddito. Ormai abbiamo imparato tutti, ad esempio, i potenziali enormi della Città Vecchia, ma non cambierà mai nulla, e questo vale per tutti i quartieri, se non guarderemo in faccia ai problemi, cercando di risolverli.  Non spariranno d’incanto la droga e la disoccupazione. Non fiorisce la legalità in Città Vecchia, senza un presidio che la garantistica. Mi dice una signora: “padre, mio figlio purtroppo non mi ascolta più, se lo sono preso i trafficanti nella loro rete del guadagno facile. Ci aiuti”. Bisogna dare alla gente gli strumenti per potersi salvare; a cominciare da una sana educazione. Ogni progetto che prescinde dagli uomini che costituiscono un tessuto identitario di un luogo è destinato a fallire quandanche a non essere dannoso.  Chiediamo giorni normali dove sia assicurata la scuola in luoghi degni. Non desideriamo promesse faraoniche ma realistici segni di responsabilità L’ho detto ieri nella processione dell’Addolorata e lo ripeto oggi: “chi si propone per gli incarichi pubblici lo faccia per servire e non per essere servito”.
La Chiesa dal canto suo non cesserà mai di essere prossima in questa fase della questione che riguarda lambiente, la salute e il lavoro e che in questi giorni conosce una delle fasi più delicate. Certamente ci stanno cuore gli ammalati con tutta la difficile questione del danno sanitario nei confronti delle persone oltre che dell’ambiente e dell’innegabile insufficienza e approssimazione dei mezzi per curarsi. Solo chi vive l’esperienza della malattia può capire il calvario della attese, dei viaggi, dei costi insostenibili per i più.
Ho avuto modo di manifestare agli operai dell’Ilva la mia paterna vicinanza, per le incerte condizioni di lavoro. Auspico che nell’immediato futuro tante famiglie possano vivere un po’  di serenità. 
Prima di lasciarvi desidero ancora una volta augurarvi il dono della pace, lo chiediamo nella preghiera perché non vada avanti questa “guerra a pezzi” come dice papa Francesco. La guerra è un crimine  e non può che generare altri crimini. Sia invece seguita la soluzione diplomatica e politica. E sia la nonviolenza la radice di ogni agire politico. Lo auguriamo a livello internazionale e lo chiediamo al Signore che, all’ingiusta condanna non ha risposto con la violenza, e soprattutto lo auguro a ciascuno di voi perché è seminando vicino il dono della concordia che lo si potrà raccogliere anche in terre lontane. La pace di Cristo poi è qualcosa di molto di più, infatti dalla croce gloriosa germina la riconciliazione. Possiamo riconciliarci se ci mettiamo tutti sotto lo stesso gettito del fianco di Gesù, della sua Divina Misericordia. L’apostolo  dice :«È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: Lasciatevi riconciliare con Dio!» (2 Cor 5,19s)       
Auguro a ciascun confratello la forza e la devozione di portare degnamente i venerati simulacri. Ringrazio il priore Antonello Papalia e il padre spirituale mons. Marco Gerardo.
Il vostro vescovo è vicino a tutti voi particolarmente in questi giorni in cui il Signore ci ha amati sino alla fine, sino alla croce. Lui è penetrato negli inferi. Anche nel buio estremo della solitudine umana più assoluta c’è una voce che ci chiama e c’è una mano che ci prende per condurci alla vita. E’ il nostro amato redentore. In questa lunga notte dei Misteri guardiamo a lui, a lui presentiamo tutte le nostre preghiere e, almeno in un istante, lasciamoci guardare da lui.
Su tutti voi, carissimi fedeli e cittadini di Taranto e della nostra diocesi, dopo aver elevato insieme la preghiera che Gesù ci insegnato, invoco la benedizione.

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