Se i Riti della Settimana Santa a Taranto diventassero patrimonio dell'UNESCO?
Se i Riti della Settimana Santa a Taranto diventassero patrimonio dell'UNESCO?
Sarebbe magnifico, vero?
Un riconoscimento a livello mondiale per la valenza culturale dei nostri Riti.
I primi a festeggiare sarebbero quelle persone che vedono nei nostri Riti un volano per rilanciare l'economia tarantina.
A questi poi si sommerebbero quelli che strizzano l'occhio a Siviglia e a tutte quelle realtà che hanno avuto il riconoscimento come città internazionale per la Settimana Santa.
E la sostanza?
La sostanza dei nostri Riti che fine farebbe?
Posta in questa maniera i nostri Riti sarebbero folklore, con certamente una valenza culturale, ma sempre folklore.
E, ripeto, la sostanza?
Quel "perdune" che piange al rientro, quelle madri che pregano davanti al simulacro dell'Addolorata, diverrebbero solo una immagine, una cartolina, un manifesto con cui vendere il prodotto Settimana Santa a Taranto.
E la sostanza? La fede di quel confratello che piange, di quella madre che prega? Diventano secondari o addirittura visti come un momento scontato e tradizionale del Rito.
Accantonare la fede, cioè la sostanza, significa svilire i nostri Riti, significa impoverirli, svuotarli della propria essenza.
Io questo non lo voglio.
A me poco interessa dei vari riconoscimenti a livello nazionale ed internazionale.
Quello che mi sta a cuore è che i nostri Riti, espressione massima di pietà popolare, adempino pienamente al compito e al fine che si propongono: far comprendere alla gente il sacrificio d'amore di Nostro Signore Gesù Cristo.
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