Quel Giovedì Santo sul ballatoio di San Domenico: la testimonianza di don Emanuele Ferro.
foto:web |
Mi corre l'obbligo di ringraziare don Emanuele Ferro, parroco della cattedrale di Taranto San Cataldo e portavoce dell'Arcidiocesi, per questo "regalo".
Grazie per la disponibilità mostrata nell'assecondare questa mia richiesta.
Quando parliamo di Riti della Settimana Santa il nostro pensiero è rivolto in prima battuta ai confratelli.
E il clero? I sacerdoti, i nostri pastori e guide? Come vivono quei momenti?
Perciò, grazie don Emanuele per questa tua testimonianza, per questo momento di condivisione e riflessione che ci regali.
Grazie per la disponibilità mostrata nell'assecondare questa mia richiesta.
Quando parliamo di Riti della Settimana Santa il nostro pensiero è rivolto in prima battuta ai confratelli.
E il clero? I sacerdoti, i nostri pastori e guide? Come vivono quei momenti?
Perciò, grazie don Emanuele per questa tua testimonianza, per questo momento di condivisione e riflessione che ci regali.
F.M.
Mi si chiede una testimonianza sul mio primo Giovedì Santo da parroco della Città vecchia e sulla mia partecipazione alla processione dell’Addolorata. La mia storia di fede è connotata da un forte legame alla Madre di Dio e quindi lo faccio volentieri. Ringrazio chi mi ha chiesto queste mie due “fotografie” che desidero siano accolte come tali. Non sono foto artistiche quindi non hanno pretesa di catturare sguardi di meraviglia. Sono foto personali, da “amatore”.
foto:Sara Bastianelli |
Ho presieduto anni fa il triduo santo in San Domenico, da giovane sacerdote, e ho avuto la possibilità di fare l’esperienza dell’uscita per il pellegrinaggio della Madonna Addolorata. Quest’anno ci sono tornato da parroco della Città vecchia e non ricordavo tutta quella gente in chiesa, che aspetta in silenzio, né i gruppi che circondano il simulacro della Vergine poco più innanzi all’altare maggiore e gli altri fedeli che rimangono, sempre stipati, innanzi al repositorio del Santissimo Sacramento. Uscendo dalla chiesa, l’arcivescovo ha voluto dare la sua parola con la Madonna accanto, sul ballatoio, così accompagnatori e istituzioni per il poco spazio hanno liberato il pianerottolo e guadagnato una postazione sulla scala laterale. Il segretario ed io siamo rimasti accanto al vescovo, contro la loggia. Il vento freddo, il silenzio e la folla sono impressionanti. Sembra che da lì a poco l’Addolorata, come una scialuppa di salvataggio, si sospinga su quel mare di teste e di cuori: è impossibile vedere l’asfalto! Subito dopo la gente, ecco lo sfarfallio del mare, la ringhiera non si può vedere, le persone sono troppe. È una notte che va compiendo il plenilunio, una notte ingenerosa ma non avversa. La domanda è sempre la stessa: perché questa gente è qui? Il cuore lasciamolo scandagliare a Dio. Ognuno pensi alla sua preghiera. E ho pregato: «Maria rendi il mio cuore simile al tuo». Di bello è bello lo spettacolo di un popolo che attende un inizio da tanto tempo. È bello essere lì con tanta gente che prega. Fra un po’ sembrerà tutto un santuario a cielo aperto: le candele, la banda, i confratelli, i simboli, le preghiere delle donne scalze, i bambini e qua è là i segni periferici di ogni santuario del mondo, ovvero la gente che passeggia e qualche distrazione.
foto:Erika Fornaro (2013) |
L’orario preciso di arrivo della Madonna alla chiesa di San Giuseppe non me lo sanno dire. Prima dell’alba scendo per Postierla Nuova verso di essa. In lontananza sempre le note della banda. È surreale, in sacrestia la gente attende, altri in chiesa trovano il riparo dal freddo. Qualche bandista, per venirsi a riposare, devia dalla zona di via Cariati, che dalla chiesa sulla marina dista solo qualche passo, ma che per il ritmo lento della processione è un’eternità.
Dopo un’ora e mezza la Vergine Addolorata arriva davanti alla chiesa, sulla facciata l’immagine del suo sposo, con il bambino in braccio. In un baleno ho pensato che per una mamma un figlio è sempre un bambino e il Cristo morto presto sarà cullato sul grembo della madre.
Poi mi trattengo da questa considerazione un po’ troppo sentimentale. In fondo sono statue. Noi invece non lo siamo e questi simboli, con una forza evocatrice finiscono sempre per aprire brecce nel cuore, anche nei cuori più duri.
Il volto chiaro e livido dell’Addolorata è di fronte a San Giuseppe. Non c’è la folla dell’uscita, il clima è quello dell’intimità, della devozione, di una fedeltà garantita lungo tutta la notte e che ha ancora più della metà del tragitto per fiorire. Di notte, anche nelle veglie ai defunti, rimangono solo i parenti e gli amici stretti, in un clima di raccoglimento di distensione, di solidarietà e di vicinanza. Per me di gratitudine. Da Mar Piccolo arriva un vento fastidioso, stare più vicini è una necessità. Ho incensato la statua. Qualche preghiera. L’essenziale insomma, il momento è famigliare.
Siamo figli di Maria.
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