27 aprile 2014: San Giovanni Paolo II
Ad honorem Sanctæ et Individuæ Trinitatis,
ad exaltationem fidei catholicæ
et vitæ christianæ incrementum,
auctoritate Domini nostri Iesu Christi,
beatorum Apostolorum Petri et Pauli ac Nostra,
matura deliberatione præhabita et divina ope sæpius implorata,
ac de plurimorum Fratrum Nostrorum consilio,
Beatos
Ioannem XXIII et Ioannem Paulum II
Sanctos esse decernimus et definimus,
ac Sanctorum Catalogo adscribimus,
statuentes eos in universa Ecclesia
inter Sanctos pia devotione recoli debere.
In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti.
ad exaltationem fidei catholicæ
et vitæ christianæ incrementum,
auctoritate Domini nostri Iesu Christi,
beatorum Apostolorum Petri et Pauli ac Nostra,
matura deliberatione præhabita et divina ope sæpius implorata,
ac de plurimorum Fratrum Nostrorum consilio,
Beatos
Ioannem XXIII et Ioannem Paulum II
Sanctos esse decernimus et definimus,
ac Sanctorum Catalogo adscribimus,
statuentes eos in universa Ecclesia
inter Sanctos pia devotione recoli debere.
In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti.
Ad onore della Santissima Trinità, per l’esaltazione della fede cattolica e l’incremento della vita cristiana, con l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dopo aver lungamente riflettuto, invocato più volte l’aiuto divino e ascoltato il parere di molti Nostri Fratelli nell’Episcopato, dichiariamo e definiamo Santi i Beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II e li iscriviamo nell’Albo dei Santi e stabiliamo che in tutta la Chiesa essi siano devotamente onorati tra i Santi. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Con questa formula il 27 aprile 2014 Papa Bergoglio, alla presenza "storica" del Papa emerito Benedetto XVI, iscrive Giovanni Paolo II e Giovanni XIII tra i Santi di Santa Romana Chiesa.
Una giornata da ricordare. Un momento unico per tutti quelli che questi Santi hanno vissuto, visto, ascoltato, toccato.
Tutti noi abbiamo vivi nei nostri cuori gli anni dei loro papati.
Soprattutto quelli di Giovanni Paolo II. Le giornate mondiali della gioventù, gli Angelus domenicali, i viaggi apostolici, il Giubileo del 2000, l'attentato, la malattia fino a quel 2 aprile del 2005, quando il Signore lo ha chiamato a sé.
Per ricordare San Giovanni Paolo II ripropongo il suo discorso ai giovani radunati a Tor Vergata durante il Giubileo del 2000.
1. "Voi chi dite che io sia?" (Mt 16, 15).
Carissimi giovani e ragazze, con grande
gioia mi incontro nuovamente con voi in occasione di questa Veglia di
preghiera, durante la quale vogliamo metterci insieme in ascolto di
Cristo, che sentiamo presente tra noi. E' Lui che ci parla.
"Voi chi dite che io sia?". Gesù pone
questa domanda ai suoi discepoli, nei pressi di Cesarea di Filippo.
Risponde Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt
16, 16). A sua volta il Maestro gli rivolge le sorprendenti parole:
"Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te
l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16, 17).
Qual è il significato di questo
dialogo? Perché Gesù vuole sentire ciò che gli uomini pensano di Lui?
Perché vuol sapere che cosa pensano di Lui i suoi discepoli?
Gesù vuole che i discepoli si rendano
conto di ciò che è nascosto nelle loro menti e nei loro cuori e che
esprimano la loro convinzione. Allo stesso tempo, tuttavia, egli sa che
il giudizio che manifesteranno non sarà soltanto loro, perché vi si
rivelerà ciò che Dio ha versato nei loro cuori con la grazia della fede.
Questo evento nei pressi di Cesarea di
Filippo ci introduce in un certo senso nel "laboratorio della fede". Vi
si svela il mistero dell'inizio e della maturazione della fede. Prima
c'è la grazia della rivelazione: un intimo, un inesprimibile concedersi
di Dio all'uomo. Segue poi la chiamata a dare una risposta. Infine, c'è
la risposta dell'uomo, una risposta che d'ora in poi dovrà dare senso e
forma a tutta la sua vita.
Ecco che cosa è la fede! E' la risposta
dell'uomo ragionevole e libero alla parola del Dio vivente. Le domande
che Cristo pone, le risposte che vengono date dagli Apostoli, e infine
da Simon Pietro, costituiscono quasi una verifica della maturità della
fede di coloro che sono più vicini a Cristo.
2. Il colloquio presso Cesarea di
Filippo ebbe luogo nel periodo prepasquale, cioè prima della passione e
della resurrezione di Cristo. Bisognerebbe richiamare ancora un altro
evento, durante il quale Cristo, ormai risorto, verificò la maturità
della fede dei suoi Apostoli. Si tratta dell'incontro con Tommaso
apostolo. Era l'unico assente quando, dopo la resurrezione, Cristo venne
per la prima volta nel Cenacolo. Quando gli altri discepoli gli dissero
di aver visto il Signore, egli non volle credere. Diceva: "Se non vedo
nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei
chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò" (Gv
20, 25). Dopo otto giorni i discepoli si trovarono nuovamente radunati e
Tommaso era con loro. Venne Gesù attraverso la porta chiusa, salutò gli
Apostoli con le parole: "Pace a voi!" (Gv 20, 26) e subito dopo
si rivolse a Tommaso: "Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani;
stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più
incredulo ma credente!" (Gv 20, 27). E allora Tommaso rispose: "Mio Signore e mio Dio!" (Gv 20, 28).
Anche il Cenacolo di Gerusalemme fu per
gli Apostoli una sorta di "laboratorio della fede". Tuttavia quanto lì
avvenne con Tommaso va, in un certo senso, oltre quello che successe nei
pressi di Cesarea di Filippo. Nel Cenacolo ci troviamo di fronte ad una
dialettica della fede e dell'incredulità più radicale e, allo stesso
tempo, di fronte ad una ancor più profonda confessione della verità su
Cristo. Non era davvero facile credere che fosse nuovamente vivo Colui
che avevano deposto nel sepolcro tre giorni prima.
Il Maestro divino aveva più volte
preannunciato che sarebbe risuscitato dai morti e più volte aveva dato
le prove di essere il Signore della vita. E tuttavia l'esperienza della
sua morte era stata così forte, che tutti avevano bisogno di un incontro
diretto con Lui, per credere nella sua resurrezione: gli Apostoli nel
Cenacolo, i discepoli sulla via per Emmaus, le pie donne accanto al
sepolcro... Ne aveva bisogno anche Tommaso. Ma quando la sua incredulità
si incontrò con l'esperienza diretta della presenza di Cristo,
l'Apostolo dubbioso pronunciò quelle parole in cui si esprime il nucleo
più intimo della fede: Se è così, se Tu davvero sei vivo pur essendo
stato ucciso, vuol dire che sei "il mio Signore e il mio Dio".
Con la vicenda di Tommaso, il
"laboratorio della fede" si è arricchito di un nuovo elemento. La
Rivelazione divina, la domanda di Cristo e la risposta dell'uomo si sono
completate nell'incontro personale del discepolo col Cristo vivente,
con il Risorto. Quell'incontro divenne l'inizio di una nuova relazione
tra l'uomo e Cristo, una relazione in cui l'uomo riconosce
esistenzialmente che Cristo è Signore e Dio; non soltanto Signore e Dio
del mondo e dell'umanità, ma Signore e Dio di questa mia concreta
esistenza umana. Un giorno san Paolo scriverà: "Vicino a te è la parola,
sulla tua bocca e nel tuo cuore: cioè la parola della fede che noi
predichiamo. Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il
Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai
morti, sarai salvo" (Rm 10, 8-9).
3. Nelle Letture dell'odierna Liturgia
troviamo descritti gli elementi di cui si compone quel "laboratorio
della fede", dal quale gli Apostoli uscirono come uomini pienamente
consapevoli della verità che Dio aveva rivelato in Gesù Cristo, verità
che avrebbe modellato la loro vita personale e quella della Chiesa nel
corso della storia. L'odierno incontro romano, carissimi giovani, è
anch'esso una sorta di "laboratorio della fede" per voi, discepoli di
oggi, per i confessori di Cristo alla soglia del terzo millennio.
Ognuno di voi può ritrovare in se
stesso la dialettica di domande e risposte che abbiamo sopra rilevato.
Ognuno può vagliare le proprie difficoltà a credere e sperimentare anche
la tentazione dell'incredulità. Al tempo stesso, però, può anche
sperimentare una graduale maturazione nella consapevolezza e nella
convinzione della propria adesione di fede. Sempre, infatti, in questo
mirabile laboratorio dello spirito umano, il laboratorio appunto della
fede, s'incontrano tra loro Dio e l'uomo. Sempre il Cristo risorto entra
nel cenacolo della nostra vita e permette a ciascuno di sperimentare la
sua presenza e di confessare: Tu, o Cristo, sei "il mio Signore e il
mio Dio".
Cristo disse a Tommaso: "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno" (Gv
20, 29). Ogni essere umano ha dentro di sé qualcosa dell'apostolo
Tommaso. E' tentato dall'incredulità e pone le domande di fondo: E' vero
che c'è Dio? E' vero che il mondo è stato creato da Lui? E' vero che il
Figlio di Dio si è fatto uomo, è morto ed è risorto? La risposta si
impone insieme con l'esperienza che la persona fa della Sua presenza.
Occorre aprire gli occhi e il cuore alla luce dello Spirito Santo.
Allora parleranno a ciascuno le ferite aperte di Cristo risorto: "Perché
mi hai veduto, hai creduto; beati quelli che pur non avendo visto
crederanno".
4. Carissimi amici, anche oggi credere
in Gesù, seguire Gesù sulle orme di Pietro, di Tommaso, dei primi
apostoli e testimoni, comporta una presa di posizione per Lui e non di
rado quasi un nuovo martirio: il martirio di chi, oggi come ieri, è
chiamato ad andare contro corrente per seguire il Maestro divino, per
seguire "l'Agnello dovunque va" (Ap 14,4). Non per caso,
carissimi giovani, ho voluto che durante l'Anno Santo fossero ricordati
presso il Colosseo i testimoni della fede del ventesimo secolo.
Forse a voi non verrà chiesto il
sangue, ma la fedeltà a Cristo certamente sì! Una fedeltà da vivere
nelle situazioni di ogni giorno: penso ai fidanzati ed alla difficoltà
di vivere, entro il mondo di oggi, la purezza nell'attesa del
matrimonio. Penso alle giovani coppie e alle prove a cui è esposto il
loro impegno di reciproca fedeltà. Penso ai rapporti tra amici e alla
tentazione della slealtà che può insinuarsi tra loro.
Penso anche a chi ha intrapreso un
cammino di speciale consacrazione ed alla fatica che deve a volte
affrontare per perseverare nella dedizione a Dio e ai fratelli. Penso
ancora a chi vuol vivere rapporti di solidarietà e di amore in un mondo
dove sembra valere soltanto la logica del profitto e dell'interesse
personale o di gruppo.
Penso altresì a chi opera per la pace e
vede nascere e svilupparsi in varie parti del mondo nuovi focolai di
guerra; penso a chi opera per la libertà dell'uomo e lo vede ancora
schiavo di se stesso e degli altri; penso a chi lotta per far amare e
rispettare la vita umana e deve assistere a frequenti attentati contro
di essa, contro il rispetto ad essa dovuto.
5. Cari giovani, è difficile credere in
un mondo così? Nel Duemila è difficile credere? Sì! E' difficile. Non è
il caso di nasconderlo. E' difficile, ma con l'aiuto della grazia è
possibile, come Gesù spiegò a Pietro: "Né la carne né il sangue te
l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17).
Questa sera vi consegnerò il Vangelo.
E' il dono che il Papa vi lascia in questa veglia indimenticabile. La
parola contenuta in esso è la parola di Gesù. Se l'ascolterete nel
silenzio, nella preghiera, facendovi aiutare a comprenderla per la
vostra vita dal consiglio saggio dei vostri sacerdoti ed educatori,
allora incontrerete Cristo e lo seguirete, impegnando giorno dopo giorno
la vita per Lui!
In realtà, è Gesù che cercate quando
sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di
quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi
provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi
al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono
falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che
altri vorrebbero soffocare. E' Gesù che suscita in voi il desiderio di
fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un
ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il
coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi
stessi e la società, rendendola più umana e fraterna.
Carissimi giovani, in questi nobili
compiti non siete soli. Con voi ci sono le vostre famiglie, ci sono le
vostre comunità, ci sono i vostri sacerdoti ed educatori, ci sono tanti
di voi che nel nascondimento non si stancano di amare Cristo e di
credere in Lui. Nella lotta contro il peccato non siete soli: tanti come
voi lottano e con la grazia del Signore vincono!
6. Cari amici, vedo in voi le "sentinelle del mattino" (cfr Is
21,11-12) in quest'alba del terzo millennio. Nel corso del secolo che
muore, giovani come voi venivano convocati in adunate oceaniche per
imparare ad odiare, venivano mandati a combattere gli uni contro gli
altri. I diversi messianismi secolarizzati, che hanno tentato di
sostituire la speranza cristiana, si sono poi rivelati veri e propri
inferni. Oggi siete qui convenuti per affermare che nel nuovo secolo voi
non vi presterete ad essere strumenti di violenza e distruzione;
difenderete la pace, pagando anche di persona se necessario. Voi non vi
rassegnerete ad un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame,
restano analfabeti, mancano di lavoro. Voi difenderete la vita in ogni
momento del suo sviluppo terreno, vi sforzerete con ogni vostra energia
di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti.
Cari giovani del secolo che inizia,
dicendo «sì» a Cristo, voi dite «sì» ad ogni vostro più nobile ideale.
Io prego perché Egli regni nei vostri cuori e nell'umanità del nuovo
secolo e millennio. Non abbiate paura di affidarvi a Lui. Egli vi
guiderà, vi darà la forza di seguirlo ogni giorno e in ogni situazione.
Maria Santissima, la Vergine che ha
detto «sì» a Dio durante tutta la sua vita, i Santi Apostoli Pietro e
Paolo e tutti i Santi e le Sante che hanno segnato attraverso i secoli
il cammino della Chiesa, vi conservino sempre in questo santo proposito!
A tutti ed a ciascuno offro con affetto la mia Benedizione.
Alla fine del suo discorso ai giovani, Giovanni Paolo II ha così proseguito:
Voglio
concludere questo mio discorso, questo mio messaggio, dicendovi che ho
aspettato tanto di potervi incontrare, vedere, prima nella notte e poi
nel giorno. Vi ringrazio per questo dialogo, scandito con grida ed
applausi. Grazie per questo dialogo. In virtù della vostra iniziativa,
della vostra intelligenza, non è stato un monologo, è stato un vero
dialogo.
Al termine della celebrazione il Papa ha salutato i giovani con queste parole:
C’è
un proverbio polacco che dice: "Kto z kim przestaje, takim si? staje".
Vuol dire: se vivi con i giovani, dovrai diventare anche tu giovane.
Così ritorno ringiovanito. E saluto ancora una volta tutti voi,
specialmente quelli che sono più indietro, in ombra, e non vedono
niente. Ma se non hanno potuto vedere, certamente hanno potuto sentire
questo "chiasso". Questo "chiasso" ha colpito Roma e Roma non lo
dimenticherà mai!
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