Propongo un articolo di Cristina Manzo, pubblicato sul sito fondazioneterredotranto.it, sulle statue dei Sacri Misteri modellate dal cartapestaio leccese Maestro Giuseppe Manzo.
Nell’ottobre del 1900 il consiglio di amministrazione della
confraternita del Carmine di Taranto decise di sostituire tre statue
della processione dei misteri, ormai deteriorate, con tre nuove raffiguranti gli stessi momenti della passione di Cristo: la Colonna, l’Ecce Homo e la cosiddetta Cascata.
La scelta per l’esecuzione di quei lavori cadde su uno dei più noti
artisti cartapestai dell’epoca, già più volte premiato in Italia e
all’estero, Giuseppe Manzo, che consegnò personalmente quelle tre statue
nei primi mesi del 1901. Il maestro aveva cercato inutilmente di
sottrarsi a quell’impegno (viaggiare sino a Taranto per la consegna):
“Ill.mo signore – aveva scritto il 15 febbraio 1901 al priore della
confraternita – essendo che le statue dei misteri sono per finirsi, e
per la fine del mese o forse prima saranno pronte, vi scrivo la presente
per sapere se i splendori per le stesse li dovrò far fare io o ve ne
occuperete voi stesso. Di più, trovandomi affollato di lavoro vi
domanderei se fosse possibile di risparmiarmi la venuta e se al
contrario potesse venire qualcuno della commissione per consegnarle,
altrimenti sospenderò io e verrò. In attesa di leggervi al riguardo con
stima vi saluto.”
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Biglietto da visita del Maestro Manzo |
Ma nonostante la richiesta, nessuno si era fatto vivo, sicché
imballatele a dovere, il maestro fece trasportare le statue alla
stazione di Lecce e da qui, dopo averle fatte caricare su un vagone
merci, partì alla volta di Taranto.
Per la realizzazione di quelle tre statue il cartapestaio aveva
chiesto un compenso complessivo di 650 lire, e quando il priore e
quelli che erano con lui, al momento della consegna ammirarono i
capolavori, non si pentirono per un attimo della scelta compiuta.
Correvano felici da una all’altra osservando con gioia tutti i
bellissimi particolari, che confermavano il capolavoro che il professore
aveva compiuto. Qualche giorno dopo, esattamente il 19 marzo 1901, nel
redigere il rendiconto degli introiti e delle spese riportate per
l’acquisto delle nuove statue, l’allora segretario del Carmine, Luigi De
Gennaro, avrebbe infatti testualmente annotato: “Per le nuove statue
dei sacri misteri. Costo e spese di trasporto al Prof. Giuseppe Manzo di
lecce, giusta sua quietanza, lire 700.” Leggendo il libro di Caputo, inoltre veniamo a conoscenza di due curiosi aneddoti su questi lavori, che riguarderebbero il Cristo alla colonna.
Durante la sua realizzazione in laboratorio, infatti, il Manzo si
accorse dell’errore che era stato fatto dai committenti, pretendendo che
il Cristo durante la flagellazione dovesse avere la corona di spine in
testa, mentre in realtà, questa riguardava una fase successiva, e
poiché era molto preciso sui suoi manufatti, la cosa rappresentava un
grosso problema, ma quando anche nella riconferma della commissione del 2
novembre 1900, furono ripetute quelle condizioni, egli decise di
rassegnarsi.
La confraternita, sempre per la realizzazione di questa statua, aveva
fornito al Manzo un’immagine per altro riuscita piuttosto male e in
bianco e nero che illustrava l’originale colonna di santa Prassede a
Roma, quella a cui Gesù, fu legato, nel cortile della fortezza Antonia,
il Pretorio di Pilato in Gerusalemme, per la flagellazione.
Non potendo individuare in alcun modo il colore, il Manzo abbondò con
il verde, mentre la colonna originale è di marmo diaspro, proveniente
da una roccia calcarea che assume colorazioni che vanno dal bianco al
bruno. Nella colonna Gesù ha le mani legate dietro la schiena. Una
cordicella gli tiene uniti i polsi, che a un primo sguardo non sembrano
legati alla colonna, il Cristo dà l’impressione di essere solo poggiato
ad essa, ma così non è. Una colonna bassa che assomigliasse a quella
originale così come l’avevano voluta quelli della confraternita, dava
non pochi problemi, su come poter legare le mani alla stessa, ed era
impensabile che anche all’epoca della flagellazione Cristo non fosse
stato legato.
“Ecco allora che il Manzo s’inventò letteralmente l’anello di ferro
al centro della parte superiore della colonna e attraverso quell’anello
fece passare a più giri la cordicella che stringeva i polsi di Gesù.
Dico s’inventò, perché il cartapestaio leccese non poteva aver visto su
una figura degli inizi del secolo un anello che nella colonna che si
conserva a S. Prassede non è visibile neppure oggi. Ma fece bene il
maestro, forse fu l’intuito a guidarlo. Certo non gli mancava la
fantasia[…] Due piccoli capolavori impreziosiscono questa statua: quelle
mani legate dietro la schiena che sembrano quasi parlare e il
merlettino che orna il perizoma di Gesù. Due capolavori firmati Giuseppe
Manzo.”
Nella seconda statua realizzata, quella dell’Ecce Homo,
ancora una volta il maestro, in maniera impareggiabile, esprime tutta la
sua abilità nel catturare la storia e l’emotività del personaggio.
Abbiamo un Gesù che, dopo la sofferenza della flagellazione, sa che sta
andando incontro alla sua fine, non si aspetta più niente dalla crudeltà
degli uomini, non guarda la folla, non guarda Pilato, cammina ad occhi
bassi verso il suo destino, i capelli sono intrisi di sangue, che da una
spalla, in tante pieghe sapientemente ondulate dal Manzo, cola in
rivoli.. Nelle mani legate stringe una canna, lo scettro che gli hanno
regalato i soldati. Non gli interessa ciò che accade intorno a lui.
Ma fu nella Cascata che il maestro raggiunse il massimo
della sua arte. Qui non solo era chiamato a modellare un Gesù steso per
terra e schiacciato dal peso che portava addosso, ma doveva anche fare i
conti con quella tunica, creando ora le pieghe della spalla sulla quale
poggiava la croce, ora quelle della spalla libera, poi ancora le pieghe
delle lunghe maniche, e infine quelle che scendevano lungo il corpo di
Gesù, tenendo presente che la cordicella che stringeva la vita del
Cristo, accresceva le arricciature che diventavano piccole, grandi,
fluenti…
Il Manzo seppe raggiungere magnificamente lo scopo, ma dovette anche
far ricorso alla sua ben nota pazienza, facendo e rifacendo chissà
quante volte quelle pieghe e usando continuamente i ferri arroventati
per focheggiare, segnare, correggere e perfezionare ondulazioni e
arricciature. Gli occhi di Gesù, nella cascata, ricordano molto da
vicino quelli della Colonna. Sembrano due sguardi identici, tanto che
separando e isolando gli occhi dal resto dei due volti, si ha
difficoltà a identificare a quale statua essi appartengano. Anche qui,
gli occhi sono rivolti a sinistra verso l’alto e sembrano quasi voler
esprimere un’invocazione di pietà da parte di Gesù nei confronti dei
soldati. Tornano evidenti i segni del dolore fisico, e della fatica già
presenti nella Colonna; ma si ha anche l’impressione che nella cascata
l’artista abbia voluto mettere sul volto di Gesù più uno sguardo di
giustificazione che di pietà. Giustificazione per quella caduta
accidentale, avvenuta contro la volontà del Cristo, per aver causato un
grattacapo al centurione. Gesù alzando la testa sembra voler chiedere
perdono, come a dire che la sua caduta era dovuta alle sue precarie
condizioni fisiche, non voleva rallentare, il suo cammino verso la
crocifissione.
“La statua insomma doveva anche parlare., ed egli in questo senso era
un innovatore. Non realizzava soltanto delle figure, ma cercava, nei
volti dei suoi Gesù e dei santi, anche la parola, la comunicazione. Chi
osservava, non doveva soltanto vedere, ma anche ascoltare, capire sino
in fondo il soggetto rappresentato. Con il Manzo possiamo dire che la
cartapesta leccese voltò pagina.”
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